La bocca l’è minga stracca se la sa nò de vacca…

La fiera agricola di Abbiategrasso, accompagnata dalla festa patronale di Maria Beata Vergine Addolorata, riveste un duplice aspetto: quello per il divertimento del paese e quello dell’informazione per gli specialisti di settore, e deve offrire opportunità e spunti per entrambi.

E’ un momento di confronto, di scambi e di convivialità; ci sono convegni scientifici e divulgativi, ma anche palloncini colorati e mondeghili; trattori e animali, non è mancato l’intrattenimento con spazi bimbi gestiti da Coldiretti, Recalcati Gomme e Parco Fantasia Rodari, i balli country, lo spettacolo teatrale YoYO Mundi e in contemporanea al Castello è stata allestita un mostra organizzata dal distretto Dinamo “Il paesaggio siamo noi”.

La ristorazione è stata curata dal bar Amici del Palio e dall’innovativo Ticino Gourmet Mobile.

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E come in ogni fiera agricola che si rispetti, erano presenti gli animali domestici.

Nel settore equini, hanno portato splendidi esemplari, per spettacoli equestri di alta scuola e battesimi della sella, la Cascina Costa di Abbiategrasso, Asd La Palazzina di Albairate, Azienda Agricola Doria di Abbiategrasso, Asd La Fenice di Abbiategrasso e Asd Re/Nero Azienda Agricola Nero di Manto.

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E poi c’erano gli animali da cortile e da stalla, con le aziende agricole Le Cicogne, La Forestina, Campi, Doria, Costa, Oldani.

Marcello e Nicola Fornaroli, imprenditori dell’Azienda Agricola Doria, hanno raccontato l’importanza del rispetto della biodiversità dell’agroambiente, per conservare le razze tipiche del Nord Italia, premiando la rusticità e adattabilità degli animali, rispetto alla resa e alla capacità produttiva. Allevano bestiame da carne allo stato semi-brado.

Erano in fiera, con l’Azienda Doria, due bellissime vacche, che sembravano “appena uscite dal parrucchiere”, Bruna e Alpina, con i loro mantelli lustri e luminosi; ma niente parrucchiere… erano così perché sana e tranquille, allevate libere nel prato, non chiuse in una stalla in mezzo a troppi escrementi, senza erba fresca.

«Il patrimonio genetico delle specie utili all’alimentazione umana si impoverisce ad un ritmo preoccupante; oltre 2200 razze domestiche di allevamento, delle 6400 esistenti, rischiano di sparire nei prossimi 20 anni – racconta Nicola Fornaroli– la salvaguardia delle razze autoctone deve essere garantita per il mantenimento della biodiversità». Un patrimonio genetico da salvare dunque; tanto che anche la Provincia di Milano, con il progetto Biodiversità nato nel 2001, ha voluto tutelare l’unica razza bovina autoctona lombarda, la Varzese e le produzioni agricole da essa ottenute. Del resto è da tempo che la Fao-Organizzazione della Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha lanciato un preoccupante allarme che riguarda la scomparsa in pochi decenni di oltre 200 razze domestiche utili all’alimentazione umana.

La bocca l’è minga stracca se la sa nò de vacca” recita un proverbio, ma abbiamo sentito parlare anche di formaggi prodotti esclusivamente con latte di capra da Giovanni Pirovano de I Silos di Besate; insieme ai fratelli, Giona e Ruth, alleva capre da latte e produce formaggi, circa 20 tipi diversi, riproponendo i grandi classici dell’industria casearia italiana, freschi e stagionati, ma utilizzando rigorosamente latte di capra.

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«Siamo nel regno delle marcite e abbiamo erba fresca tutto l’anno: è come avere un alpeggio direttamente a Milano» spiega Giovanni.

Diverso è il discorso di chi espone prodotti lavorati o freschi dell’agroalimentare: «E’ un modo per fare nuova cultura, per mostrare i nostri prodotti e spiegare il perché di certe scelte agricole –dice Erika Bianchi de Al Podere delle emozioni di Corbetta– Dal 2016 abbiamo iniziato a coltivare 2 ettari di terreno con ortaggi e frutta, tutto naturale senza pesticidi o concimi chimici; ma dobbiamo sperimentare ancora molto, perché lavorare la terra con le mani, è molto diverso dalla teoria imparata sui libri».

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Del resto in Lombardia, nel 2015, gli acquisti di bio, sono cresciuti del 20% , secondo l’indagine dell’Osservatorio Sana, e la superficie coltivata a bio è di 22 mila ettari (+38% rispetto al 2011). Per il bio esiste una legislazione ad hoc, i prodotti devono riportare il marchio di un ente certificatore; esiste anche una piattaforma, messa on line da FederBio, che consente di verificare in tempo reale vendite e acquisti per garantire la tracciabilità.

Il vero operatore dell’agroalimentare biologico, allevatore e coltivatore, contribuisce alla sostenibilità ambientale, alla diffusione di nuovi valori, attitudini e comportamenti che possano contribuire a uno sviluppo sostenibile per l’attuale e le future generazioni.

Paola Mazzullo

www.paolamazzullo.it

L’articolo è stato pubblicato parzialmente su Ordine e Libertà del 11 novembre 2016, pag. 16