Il fascino della solitudine: tra alpeggi e transumanza

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Saper attendere. Attendere nonostante la nebbia e il freddo pungente; nonostante la pioggia, la neve, il buio; attendere che gli animali si sazino. Concedere loro il tempo per brucare, per ruminare, per riprendere a piegare la testa sull’erba.

Scegliere quando muoversi dall’alpeggio per conquistare il fondo valle, quando pazientare in un campo o spostarsi in riva a una roggia, rispettando le esigenze degli animali.

E poi la solitudine, i silenzi lunghissimi, i belati rochi e l’abbaiare dei cani; gli zoccoli dei ciuchini. E l’ultimo agnello nato in ritardo, in una notte di dicembre, che bisogna scaldare e portare di tanto in tanto al riparo affinché non patisca troppo per la stagione fredda e possa irrobustirsi.

Tutto questo è essere pastori. D’inverno.

Non è come guardare il cartone animato di Heidi che corre al sole tra farfalle e capretti.

Dino Morelli, che fa il pastore transumante da 25 anni, racconta con pazienza e voce dolce il suo amore per la natura e per gli animali: «Mi piace il senso di libertà, mi piace stare vicino alle mie bestie, prendermene cura, vederle crescere. Sin da quando ero bambino. I miei genitori non erano particolarmente contenti di questa mia scelta ma poi mi hanno lasciato fare».

Ha cominciato subito dopo le scuole medie a seguire i pastori anziani, del mestiere; proprio da uno di questi ha poi comprato le sue prime pecore. Con i pastori ha cominciato ad abituarsi al freddo, a dormire per terra, ad accendere il fuoco per consumare i pasti seduto a bordo campo, sempre vicino agli armenti e ai greggi.

Adesso dopo tanti anni, almeno d’inverno, dorme in un furgone, sempre senza riscaldamento ma sempre rigorosamente vicino ai suoi animali.

Nel buio della sera, che conquista i suoi spazi già dal pomeriggio invernale, Dino legge. In queste notti sta approfondendo la sua cultura su Mauro Corona, scrittore, scultore e alpinista trentino; che ha aperto oltre 300 vie di scalata nelle Dolomiti d’oltrepiave.

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Una vita dura quella del pastore, ma lui la ama moltissimo, anche se qualche volta si sente solo: «Mi piacerebbe ogni tanto poter passare qualche serata con gli amici. Ma non posso permettermi di pagare qualcuno che stia vicino alle pecore al posto mio. Ne ho 200, ma per guadagnare bene dovrei avere un gregge di almeno 1500 capi. Le pecore non possono essere lasciate a lungo da sole e non possono neppure essere rinchiuse in una stalla… hanno bisogno di brucare. Quindi sto’ con loro» continua a raccontare Dino che ha passato 24 Natali lontano da casa, in solitudine. «Anche per San Silvestro non posso certo lasciare il gregge, le pecore hanno paura dei botti di fine anno; potrebbe saltare la recinzione e perdersi o rimanere impigliate nella rete e farsi male...».

Adesso poi è periodo di caccia, gli spari spaventano il gregge e i cani di Dino, Lupo e Orso, hanno un bel da fare per tenere insieme le pecore.

E’ nato nel 1974, a Azzone, in valle di Scalve, un paesino di 450 abitanti. Ha cominciato presto a passare le giornate tra il verde lussureggiante delle pendici montane, a 2000 metri. E ancora oggi, da maggio a novembre, trascorre le giornate sulle sue montagne bergamasche; è lì che aspetta la prima neve. Poi scende a valle.

«Per scendere dall’alpe e arrivare nel magentino, a piedi, ci volevano circa 50 giorni; ma è diventato sempre più difficile raggiungere la pianura per via dei divieti dei contadini che non concedevano volentieri diritto di passaggio e sosta sulle loro terre. Con le pecore si possono percorrere 7 o 8 chilometri al giorno, poi bisogna fermarsi per farle riposare, per lasciarle brucare» allora Dino ha deciso di trasportare gli animali con un camion, per i tragitti lunghi.

Dopo decenni stanno tornando ad aumentare le pecore in Italia; nel 2016 si contano 7,2 milioni di capi, quasi duecentomila in più rispetto a cinque anni fa, secondo le stime della Commissione Europea, che dice anche esserci una nuova leva di duemila giovani pastori che hanno scelto di mettersi alla guida di un gregge, in gran parte continuando l’attività dei genitori, ma non solo.

«Il freddo mi piace; e non lo patisco mai, sono tutto vestito di ottima lana» e racconta del sarto che confeziona tabarri e maglioni per i pastori e del calzolaio che fa scarponi su misura.

Quello del pastore, è un lavoro per uomini, anche se in Abruzzo pare ci sia una donna, adesso che la pastorizia è stata rivalutata e in qualche modo aiutata da provvedimenti regionali; è stato istituito anche il Pecora Day, il primo quest’anno, il 18 maggio a L’Aquila.

«Ma di fidanzate purtroppo non se ne parla...» e sorride Dino con quei suoi occhi azzurri e buoni; non ha ancora trovato chi abbia voglia di divedere questa vita vagabonda con lui.

Mentre racconta uno sparo fa levare in volo gli aironi guardabuoi che accompagnano il gregge, le asine si avvicinano affettuose alle mani in cerca di una carezza sul muso umido e le pecore si agitano. Poi tutto torna calmo e le voci, e le campane del paese vicino, tornano a perdersi nella nebbia.

Arrivederci Dino, arrivederci alla primavera quando sarai pronto per partire per riconquistare la montagna. E pronto a raccontarci di quanta cura ci vorrà, lassù, per proteggere gli agnelli dal volo rapido delle aquile, in quei sei mesi di cieli stellati e profumi e canti.

O forse arrivederci a una sera d’inverno, in cui potrai dividere un veloce pasto caldo, con qualcuno di noi, in una casa non lontana dal campo dove riposano le tue pecore.

Paola Mazzullo

www.paolamazzullo.it

L’articolo è stato pubblicato su La Libertà del 23 dicembre 2017, pag. 23