La Ironman è “una gara di cui essere fieri per tutta la vita” disse il comandante della marina John Collins, uno dei co-ideatori del triathlon.
“E’ una sfida primitiva, una lotta contro se stessi, che porta a superare i limiti del corpo e della mente: 3.9 km di nuoto, 180.2 km in bici, 42.2 km di corsa” racconta, ancora emozionato per il traguardo raggiunto, Claudio Ateri.
Carlo Caimi, classe 1970 e Claudio Ateri, classe 1976 ce l’ hanno fatta! Sono stati proclamati Ironman; hanno conquistato il titolo; sono “Finisher 2016”, perché in questa leggendaria e coinvolgente gara, che deve concludersi in un massimo di 17 ore consecutive, la vera sfida è riuscire a completare il percorso, arrivare al traguardo, essere dei finisher!!! Carlo è arrivato in 11,49 ore e Claudio in 12,48 ore, piazzandosi rispettivamente al 1306^ posto e 1808^.
Questa Ironman si è svolta a Klagenfurt, nelle Alpi Orientali austriache, il 26 giugno: “Una vera e propria odissea, nella quale si vivono emozioni che non riesco a descrivere facilmente, ma una cosa è certa: sembra impossibile ma quelle 12 ore e 48 minuti sono volate!” dice Claudio.
Erano circa 3000 gli iscritti a Klagenfurt, provenienti da 60 nazioni diverse; il 16% dei partecipanti si è ritirato, soprattutto nella prima prova di nuoto, senza concludere la gara.
La tensione alla partenza è altissima, pochi riescono a sorridere per le foto ricordo; i due atleti robecchesi raccontano che la paura di iniziare, morde i pensieri, e una unica domanda frulla in testa: “Ce la farò ad arrivare alla fine?”.
La competizione prevede nell’ordine, nuoto, bicicletta e corsa; alle 6,50 del mattino gli atleti si tuffano nel lago di Wörthersee per seguire un percorso segnato dalle boe; la temperatura dell’acqua è intorno ai 22° C e gli atleti possono indossare, oltre a cuffia di riconoscimento e occhialini, una muta leggera. “E’ difficile individuare la traiettoria più breve, si parte tutti insieme, si nuota vicinissimi, bisogna stare attenti a non prendere calci e manate” ricorda Carlo, che nuota da quando era bambino. Una prova molto impegnativa, soprattutto per Claudio, che ha sempre avuto paura dell’acqua e solo nel 2010 ha imparato a nuotare, in piscina a Magenta, iscrivendosi ad un corso nella vasca “piccola” .
Quando escono dall’acqua, Carlo e Claudio devono vestirsi da ciclisti, tuta, casco e pettorale e afferrare la loro bici, ordinatamente preparata prima dell’inizio della gara; affrontano la strada panoramica che si addentra nelle valli della Carinzia, tra i boschi e il tifo caldo e sonoro degli spettatori, che li spronano con canti, grida, applausi, soprattutto sulle salite. “Correre con la gente che ti incita e ti applaude è sensazionale e ti regala l’energia necessaria per proseguire. La carica del pubblico è stata fondamentale” racconta Carlo.
I concorrenti affrontano anche la pioggia, che li accompagna per poco più di un’ora, nella corsa che copre i 180 kilometri, con un dislivello totale di 1680 metri.
Poi, lasciate le bici, si parte a piedi per i 42 kilometri finali: lungolago e cittadina di Klagenfurt. C’è sempre più gente ad accogliere gli atleti; nel centro di Klagenfur è stata posizionata una campana a segnare gli ultimi 10 km alla fine della maratona, ogni atleta può suonarla passando. “Ci vuole moltissima concentrazione per portare a termine la competizione. L’emozione più grande arriva negli ultimi kilometri, quando senti l’odore del traguardo che segna la tua vittoria: finire la gara!” dicono Caimi e Ateri.
Carlo e Claudio fanno parte dei “Tapascioni” di Robecco sul Naviglio, con loro si allenano e corrono: “Tante uscite, tanti kilometri, tanti amici dal 2010, quando siamo diventati Tapascioni- dice Carlo – correre in allenamento, soprattutto dopo una giornata di lavoro, è un modo per scaricare le tensioni accumulate; in gara è diverso si cerca di tenere la mente leggera e capire se il corpo risponde bene”.
Nel 2013 si sono iscritti insieme alla “Autonosate Triathlon” per poter partecipare ad allenamenti e gare di triathlon; la prima è stata a Recetto poi Arona in staffetta, poi ancora Cernobio, Mergozzo Sirminione e tante altre fino alla Ironman di Klagenfurt.
Racconta ancora Claudio: “Quando arrivi agli ultimi metri, ci sono gli spalti pieni di gente, c’è il maxi schermo, lo speaker, le cheerleaders che ballano … la testa in poche centinaia di metri ripensa a tutto, alla fatica, ai mesi di allenamento assurdo, ai sacrifici, alle persone alle quali vuoi bene, ai compagni di squadra, alla birra che ti berrai dopo il traguardo… poi di colpo i pensieri si svuotano e c’è silenzio. E l’ultima cosa che senti è: you are an ironman!”
E ti senti davvero (e giustamente, ndr) un campione.
Paola Mazzullo
Post Scriptum
Triathlon, cioè?
Il triathlon è uno sport giovane, nato nel 1977, da una scommessa sulla spiaggia di Honolulu, alle Hawaii. Un gruppo di amici discuteva per decidere quale fosse la gara più dura dal punto di vista della resistenza: a contendersi il titolo erano la “Waikiki Rough Water Swim” con i suoi 3,8 kilometri a nuoto, la “112 Mile Oahu Bike Race” con 180 km in bicicletta e la “Honolulu Marathon” una corsa di 42,195 kilometri.
Il comandante della marina John Collins suggerì di combinare le tre prove in una unica gara;
gli amici risero ma accettarono la sfida e quel giorno nacque il triathlon; e con il triathlon anche una gara leggendaria la Ironman delle Hawaii.
Alla prima edizione parteciparono 14 atleti: il primo vincitore fu Gordon Haller.
Una lenta ma costante evoluzione di questa disciplina, ha permesso che il Triathlon venisse inserito nei programmi olimpici di Sidney 2000, l’ Olimpiade che ne ha “battezzato” l’esordio.
Il Triathlon combina tre discipline collaudatissime come il nuoto, il ciclismo e la corsa a piedi, in una unica prova, senza soluzione di continuità. I concorrenti devono infatti passare, senza interruzioni, da una frazione di gara all’altra, dimostrando ottima resistenza, forza ma anche sorprendenti capacità coordinative, dovendo esprimere durante la loro prestazione, gestualità sportive completamente differenti tra di loro.
Paola Mazzullo
www.paolamazzullo.it
L’articolo è stato pubblicato su Ordine e Libertà del 15 luglio 2016, pag. 29